Il Mattino di Padova -

Galimberti La sfida delle macchine

Un’analisi critica ma affascinante delle sfide etiche, sociali e psicologiche poste dall’avanzamento tecnologico, esplorando come questi strumenti stiano riscrivendo le dinamiche della nostra esistenza. Una riflessione sul significato di essere umani in un’era dominata dall’intelligenza artificiale, dalla realtà virtuale e dalla connettività pervasiva, cercando di comprendere come mantenere la nostra umanità intatta. Ieri sera Umberto Galimberti ha conquistato – come sempre accade – il pubblico padovano, riunito nella platea del multisala Pio X, per la lectio magistralis “L’uomo nell’età della tecnologia”, nell’ambito del Galileo Festival. Un’iniziativa promossa dal Comune di Padova, ItalyPost, Gruppo Nem, e curata da Goodnet Territori in Rete. In apertura, l’introduzione di Enrico Pucci, caporedattore dei nostri giornali, e i saluti dell’assessora comunale Margherita Cera: «È un appuntamento molto atteso dalla nostra città, per noi l’innovazione è un tema cruciale, che ci pone di fronte a sfide non semplici».
Cos’è la tecnica? «Non è la tecnologia», premette Galimberti, 82 anni, filosofo, saggista e psicoanalista. «La tecnica non è un mezzo, è un mondo». Ma andiamo con ordine. «Il problema della tecnica nasce nel mondo greco», racconta il professore, «ma la tecnica che avevano a disposizione era modesta e potevano pensare fosse uno strumento buono o cattivo a seconda dell’uso».
La cultura greca viene soppressa dal Cristianesimo. «Che non è solo una religione, è una cultura: tutto è cristiano in Occidente», osserva Galimberti. E aggiunge: «Il Cristianesimo ha avuto il colpo di genio di dire agli uomini: “Non morirete mai”. Ma quando quella promessa che garantisce la salvezza finisce, crolla tutto e si entra nell’età del nichilismo, dove manca lo scopo, la risposta al perché, e tutti i valori si svalutano». Si arriva poi al Seicento, al metodo scientifico, che «i ragazzi non conoscono, perché non si insegnano le scienze a scuola e poi crescono i no vax».
Il viaggio nella storia della tecnica arriva ai giorni nostri, passando per i maggiori pensatori.
Da Platone a Tommaso d’Aquino, da Kant a Nietzsche. Fino a Heidegger: «In un intervista del 1968 dice “Tutto funziona, questo è l’inquietante”. E il funzionare induce un altro funzionare, in un processo all’infinito senza uno scopo. Perché la tecnica non dischiude un orizzonte di senso, non apre scenari di salvezza: la tecnica funziona, ma al di là della funzionalità non c’è altro».
Gli effetti di questo scenario si vedono nella politica e nell’etica. «Oggi la politica non è più il luogo della decisione, perché per decidere guarda l’economia che a sua volta guarda le novità tecnologiche», afferma il filosofo, «e l’etica sta ancora peggio: non abbiamo un’etica all’altezza della tecnica».
Non sono mancate le riflessioni sui giovani: «Bevono e si drogano perché si vogliono anestetizzare dall’angoscia che provano quando sporgono lo sguardo sul futuro». E sull’ambiente: «Per evitare la catastrofe, dobbiamo smetterla con l’antropocentrismo e sostituirlo con il biocentrismo . Potremo andare anche su Marte, ma al momento è solo qui che possiamo vivere».
E ancora, sullo stato di salute della democrazia: «Quando vedo i numeri dell’astensione, capisco che ci siamo abituati a una vita democratica e pensiamo stia in piedi da sola, ma non è così: vive solo e la facciamo vivere, altrimenti abbiamo altri regimi». Applauso.
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