Con il penultimo appuntamento della settimana scorsa, focalizzato sulla matematica, e l’ultimo di ieri, riservato invece alla genetica si è concluso il tour virtuale per la presentazione della cinquina di libri in finale per il premio Galileo, dedicato appunto alla divulgazione scientifica, riconoscimento che verrà consegnato il 17 ottobre.

Dal nuovo capitalismo delle piattaforme digitali alla robotica, dalle frontiere della ricerca sul cancro, fino al rapporto tra geni e identità: si è trattato di un viaggio ad ampio raggio nel mondo della scienza.

NEL DESTINO

Dopo gli interventi di Antonio Casilli (“Schiavi del clic”), Barbara Mazzolai (“La natura geniale”), Pier Paolo Di Fiore (“Il prezzo dell’immortalità”) e Chiara Valerio (“La matematica è politica”), Alberto Piazza, professore emerito dell’Università di Torino, si è soffermato sul suo ultimo lavoro “Genetica e destino” (Codice edizioni). «Oggi – ha sottolineato lo scienziato – la tecnologia ci permette di dire perché siamo quel che siamo non solo per il nostro codice genetico, ma anche per l’ambiente, per la geografia, per le esperienze sociali che viviamo. Le razze non esistono, ma il razzismo sì. Il DNA definisce per la nostra specie circa 25mila geni, che è lo stesso numero di quelli dei topi. Ma come mai l’evoluzione è stata diversa? Oggi si parla di epigenetica, che non dipende dalla sequenza di geni stessi, ma da come essi sono influenzati dalle connessioni dei neuroni nel cervello. Ed è qui che compare la differenze tra uomini e topi: basarla sulle semplici sequenze del DNA provoca soltanto illusioni».

IL NODO

La scorsa settimana, invece, Chiara Valerio aveva sottolineato come la matematica, e la scienza in generale, educhino all’esistenza di una comunità; spesso però, di questo non si tiene conto e anzi lo scienziato viene immaginato come un personaggio che studia da solo, nella sua “torre d’avorio”, lontano dagli altri. L’autrice ha evidenziato che invece non è così, e che per esempio una matematico si appoggia non solo ai colleghi in vita, ma anche a quelli che non ci sono più perché continua a verificare e ad aggiornare formule pensate per altri.

«Dedicarsi alla scienza – aveva ribadito l’autrice – non insegna solo alla democrazia, ma dà anche un’armatura culturale, quasi un super potere. Io penso che la matematica mi abbia tolto da quel “sospetto” culturale di cui soffrono le donne, di dover dimostrare in qualche modo di essere intelligente. Siccome ero laureata, con un dottorato e un post-dottorato, tutto questo significava che almeno ero intelligente. Io questo ho percepito e quindi applico tale approccio nella vita si tutti i giorni: avendo fatto questo tipo di studi affronto qualsiasi ostacolo dicendo “ho fatto cose difficili e farò anche questa”. E alla luce di questa riflessione arrivo alla conclusione che alla fin fine la matematica mi ha salvato la vita».