Non solo fabbriche: i lavori ibridi in sanità e nel retail

Di Paolo Gubitta, docente universitario, advisor di Global Shapers Venice Hub

Forse perché nato a partire dal documento «Umsetzungsforum INDUSTRIE 4.0», redatto tra ottobre 2012 e aprile 2013 dai tedeschi Siegfried Dais e Henning Kagermann, il dibattito sulla digital transformation ha dedicato molto spazio alla produzione manifatturiera e alle nuove fabbriche. Nel nostro Paese, poi, con il «Piano Nazionale Industria 4.0» del Ministro Carlo Calenda, la focalizzazione è stata ancora più spinta.

Si è scritto molto di Industry 4.0 anche su queste colonne, cercando di estendere il dibattito all’evoluzione del contenuto del lavoro, all’individuazione delle competenze necessarie (e le modalità formative per generarle in tempi ragionevoli) e all’analisi dei cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e negli ambienti di lavoro (si legga ad esempio La manifattura di rivetti e il lavoro 4.0).

Questo percorso di ampliamento dell’analisi ci porta fuori dalle fabbriche, perché in realtà la digital tranformation sta cambiando l’intera società e sta rapidamente entrando in tutti gli ambiti della vita quotidiana.

Pensiamo a come sta cambiando i lavori in sanità.

La robotica in sanità ci porta verso il chirurgo 4.0, che lavorerà seduto alla consolle, muovendo alcuni joystick per guidare un robot che esegue materialmente un intervento chirurgico: bracci meccanici e telecamere prenderanno progressivamente il posto di mani e occhi esperti, mentre i modelli di comunicazione e le dinamiche relazionali tra medici e infermieri dell’équipe di sala operatoria saranno tutti da reinventare.

Sta succedendo qualche cosa di simile grazie all’uso di Watson, l’applicazione medica più nota e ambiziosa che mette insieme big data intelligenza artificiale, e che non si ferma alla riduzione di errori potenzialmente fatali in ambito sia diagnostico sia terapeutico, ma si estende alla modalità di erogazione dei servizi medici. Una volta che le macchine sapranno formulare correttamente le diagnosi e prescrivere le terapie, il mestiere del medico di base si trasformerà: da una parte, una nuova categoria di professionisti medici, formati per gestire i casi di routine (interagire ed esaminare i pazienti), per poi inserire le informazioni in un sistema standardizzato di diagnosi che fornirà le risposte; dall’altro, dei medici veri e propri in grado di interagire con Watson, ma con maggiore specializzazione per affrontare i casi più complessi.

E il lavoro sanitario in corsia? Su questo fronte, mentre l’erogazione delle attività di assistenza e cura rimane (ovviamente) ad elevato contenuto relazionale, la digitalizzazione dei processi di supporto permette di elaborare grandi quantità di dati per avere informazioni on demand che supportano l’operatore nello svolgimento del lavoro, aumentando efficacia, qualità ed efficienza (meno sprechi).

Della stessa portata sono i cambiamenti che investono il lavoro nel retail.

Se l’ecommerce ad alcuni fa paura, perché porta alla disintermediazione del retail, la realtà aumentata riporta invece il cliente nel negozio fisico: un negozio diverso da quello che conosciamo e con addetti alle vendite con competenze differenti. In questi tradizionali punti vendita si potranno virtualmente indossare gli abiti che ci piacciono, si potranno virtualmente arredare le nostre case e così via.

La realtà, come sempre, supera la fantasia. Ed è così che è già nata addirittura la ibridazione tra retail e sanitàÈ il caso delle retail clinics, fenomeno ben radicato negli Stati Uniti e giunto recentemente in Italia. Si tratta di poliambulatori multispecialistici collocati nei centri commerciali, che offrono trattamenti per le piccole patologie o servizi per la salute e la prevenzione: l’architettura e il layout dell’ambulatorio adottano lo stile tipico dei negozi di un centro commerciale; il front office è gestito da hostess; l’interazione con i clienti avviene con il massiccio uso di smartphone e altri strumenti elettronici; la formazione del personale sanitario coinvolto prevede contenuti tipicamente sviluppati nei corsi retail e mass market e a queste persone viene richiesto (e valutato) un marcato orientamento imprenditoriale.

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